Viaggio nei vini autoctoni campani, passando per una storia millenaria
Nel bacino del Mediterraneo, la regione Campania ha un
ruolo di sicuro prestigio quando si parla di viticoltura e di vitigni
autoctoni. La storia narra di avvenimenti millenari: la vite fu portata dai
greci sull’isola d’Ischia per poi approdare sulla terra ferma durante la
fondazione della città di Cuma, attuale sito archeologico dell’area vulcanica
dei Campi Flegrei.
La coppa di Nestore, reperto archeologico, è una testimonianza
del legame antico e indissolubile tra le terre campane e la vite. L’entroterra campano,
soprattutto la zona irpina, ebbe invece delle presenze etrusche. Un mix di
culture che hanno teso la mano verso la conoscenza e la miglioria della produzione
vinicola.
Tranne l’isola di Capri, il resto delle zone dove
cresce la vite in Campania ha come predominante il residuo vulcanico. Varie
componenti si identificano, passando dalle marne alla sabbia, dal tufo ai
sassi, per finire con il calcare. Su queste moltitudini di varianti di terreni
i vitigni definiti autoctoni sono molteplici con ben oltre cento varietà
catalogate. L’elenco sarebbe lunghissimo, ma citiamone alcune: asprinio,
biancolella, coda di volpe, aglianico, falanghina, fiano, guarnaccia,
piedirosso, palagrello, casavecchia, caprettone, tintore, catalanesca. Molti
nomi e molte espressioni produttive di una terra che ci dona vini di elevato
profilo.
Guido Invernizzi, profondo conoscitore e amante di
queste terre, dopo un’affascinante presentazione, arricchita di foto e aneddoti
personali, ci introduce alla degustazione dei vini, all’interno della
manifestazione Enozioni a Milano 2018.
Partiamo con un Falanghina
Campi Flegrei DOP Vigna Astroni 2014 Cantine Astroni, vino ottenuto
da uve coltivate a meno di tre chilometri dal mare, uso esclusivo dell’acciaio
per le pratiche in cantina. Il colore si presenta carico e dorato. Il naso è
piacevole con una buona mineralità. Note di frutta gialla e fiori secchi. In
bocca si denota una predominanza delle durezze e un residuo amaricante.
Persistente e piacevole al palato. La falanghina è molto diffusa nella zona del
beneventano, vitigno versatile che si ritrova in tutta la Campania e in
rilevanza nei Campi Flegrei.
Greco
di Tufo DOCG Vigna Cicogna 2015 Benito Ferrara:
colore magnifico per il secondo vino in degustazione. Carico, profondo e
intenso. Nel calice si presenta limpido con una buona struttura. Il naso è fine
con note di mela e frutta fresca, mineralità gessosa e ottima personalità. Al
palato ha grande persistenza e rilevante spalla acida. Opulento con ricordi di
frutta evoluta e mandorla.
Il fiano d’Avellino è un vitigno completo, che si
adatta molto bene e dona una bella complessità aromatica, anche grazie al suo
periodo di maturazione che arriva verso l’inizio del mese di ottobre. Per la
degustazione del terzo vino lo ritroviamo in questa espressione: Fiano di Avellino DOCG 2014 Colli di Lapio di Romano Clelia. Il colore è un oro
antico carico: è limpido e di buona struttura. Al naso presenta note di fiori
freschi e un’evidente mineralità con una punta balsamica verso il finale. In
bocca entra sapido, invadendo il palato e lasciando un ricordo di erbe
officinali.
Costa
d’Amalfi DOC Fiorduva 2009 Marisa Cuomo, vino e azienda
simbolo della viticoltura campana. Si utilizzano tre vitigni: ripoli, fenile e
ginestra. L’allevamento è a terrazzamento con una vista sul mare mozzafiato.
Uso perfetto dei legni piccoli nuovi. Il colore è un giallo dorato pieno.
Grande struttura. Il naso ha note tropicali e di spezie dolci. In bocca netto
l’agrume candito, l’ananas e il pepe bianco. Un vino bianco in perfetto stato
evolutivo e conservativo.
Passando ai rossi incontriamo il Lacryma Christi del Vesuvio Rosso DOP Vigna
Lapillo 2015 Sorrentino, da aglianico e piedirosso, che non ha alcun
passaggio in legno. Colore rubino carico. Naso che presenta colpi finali di
vinosità. Piacevole e intrigante. In bocca grande sapidità e spalla acida.
Sentori di fiori rossi e piccola frutta fresca. Il Lacryma Christi del Vesuvio
non è il nome di un vitigno ma si chiama così a ricordo del lembo di cielo
strappato da Lucifero durante la caduta negli inferi: la leggenda narra che laddove
caddero le lacrime divine sorse la vite del Lacryma Christi. In realtà questa è
una sottodenominazione della DOC Vesuvio di cui possono fregiarsi vini bianchi,
rossi o spumanti ottenuti da vitigni autoctoni tipici della zona vesuviana.
Tramonti Costa d’Amalfi DOC Cardamone 2014 Azienda
Agricola Reale. Il nome di questo
vino prende origine da una contrada di Gete, già famosa per la coltivazione
della vite fin dai tempi della Repubblica Marinara di Amalfi. Il vino è
ottenuto da uve tintore di Tramonti e per’è palummo coltivate a piede franco, con
il sistema tradizionale a raggiera. Colore carico, rosso rubino. Naso intenso e
complesso, frutta e spezie in predominanza. In bocca entra fine e pulito,
tannicità media e nota polverosa.
Concludiamo con un vino nato dal
vitigno rosso principe del sud Italia, l’aglianico: il Taurasi DOCG 2013 Villa Raiano. Colore rubino cupo, consistente e
impenetrabile. Naso pulito, con sentori di frutta, liquirizia e spezie a
volontà. In bocca entra giovane, amaricante e tannico. Bella spalla acida che
sorregge.
Articolo pubblicato anche sul sito AIS Delegazione di Milano
Ciao
GB
Commenti
Posta un commento